Amato

V

Ma valga quel che può valere la matematica del Corleo, certo essa rientra nell'intuizione schiettamente positivistica; e non ne esce se non per distrugger sé stessa. Giacché essa ne esce certamente, ma cessando di esser matematica, cessando di esser la particolar filosofia del Corleo, scotendo le stesse fondamenta dei presupposti positivistici. Ne esce per imporre alla meccanica psichica un cappello spiritualistico, e per preporre alla meccanica cosmica una causalità teistica: con un così evidente segno del distacco tra l'intuizione naturalistica fondamentale e l’arbitraria integrazione metafisica, da render testimonianza, come s'è di sopra accennato, della insufficienza assoluta di quella fondamentale intuizione rispetto ai problemi maggiori della filosofia.

Il Corleo non sente, urgente almeno, il bisogno dello spirito, della libertà che è propria di esso, per tutta la ricostruzione dell’attività teoretica; ma, quando passa alla pratica, e sente che spiegare col 100 = 100 il prodursi del volere sarebbe un aggiogarlo alla falsità, dà addietro. Sente che quella materia, per cui egli ha insegnato che 100 – 1 = 99, 100 + 1 = 101, «è sempre fatale in tutte le sue risultanze». Come fare? In matematica non si ammetto opinioni, dice Kant. E allora, sit pro ratione voluntas:  e il Corleo fa 100 + 1 = 120. Leggiamo il § 337 del Sistema:10.

«Se questo è il concetto vero della fatalità, non può la libertà altro che la plusvalenza di alcuno degli elementi del risultato sopra tutti gli altri, di guisa che il risultato non sia esattamente identico alla somma numerica degli elementi che lo compongono; ma perché alcun di loro vale come atto sostantivo più degli altri, la risultante corrisponderà alla natura medesima dei componenti, cioè con un numero minore di elementi, per la plusvalenza di uno di essi, si avrà una somma di azione maggiore, non corrispondente al numero. Questa plusvalenza, se veramente ci fosse, dovrebbe comparire con ispecialità nel caso che il risultato venisse a diminuire ne' suoi elementi, rimanendovi pero quello che vale più degli. altri... Se vi ha un gruppo di tot elementi, di cui 100 tutti di egual natura o di eguale atto sostantivo, ed uno che valga nel suo atto sostanziale quanto valgono venti di essi, al quale daremo il nome di a, si avrà allora un risultato numerico 101, ma nel complesso degli alti sostanziali si avrà 100 + (a = 20) = 120. Or se dal gruppo si toglieranno 60 rimanendovi a, si avrà il numero di elementi 41, ma la risultanza attiva sarà di 40 + (a = 20) = 60, cioè il risultato per una terza parte sarà proprio di a, mentre nel precedente risultamento l'a non ci aveva che la proprietà di un solo sesto. Or se mai da cotesto gruppo numerico 41 si toglieranno tuttavia altri 30 elementi, rimanendovi sempre a, si avrà numericamente 11, ma nel complesso sostanziale si avrà 10 + (a = 20) =30. Allora due terze parti di quel complesso apparterranno ad a. Così ancora, se la diminuzione degli altri elementi avanzasse, la plusvalenza dell’a si renderebbe sempre più manifesta, ed il complesso: sarebbe composto dell'azione sua sostantiva in massima parte; azione sostantiva, ch’è sempre identica a sé stessa, senza potenza né cangiamento alcuno, ma che per la sua plusvalenza, nella mutazione decrescente del risultato, dà prodotti non proporzionali al numero».

Questa diminuzione degli elementi del complesso materiale funzionante col progressivo aumento proporzionale di una speciale funzione il Corleo, riflettendovi bene, la trova non solo nella libertà del volere, che si vien liberando dalla causalità naturale, ma nell'esercizio dell’astrazione funzione, secondo lui, privilegiata dell’uomo tra gli animali, che non cresce con la somma, ma con la divisione delle percezioni. Ma è evidente che la materia per cui 101 può essere 120, e 41 può essere 60 e 11 può essere 30 non è più matematica. Perché quell’a, se non è 1, non può essere né anche 20 e la plusvalenza fosse meramente quantitativa (20-1), non si potrebbe parlare più di un’unità plusvalente, ma di 20 unità equivalenti. E la matematica sarebbe restaurata facendo 100+20 =120, senz’altro. Il 20 qui pel Corleo non è più 20: è un venti che è uno, ossia uno tutto indivisibile. E però non è più un numero ragguagliabile al 100; non è un numero, non è quantità, è qualità irriducibile a un’altra qualità. E allora non solo lo spirito è qualità, ma anche la materia. E la spiritualità, sovrapposta al materialismo, lo schiaccia. E la matematica al contatto della qualità svanisce.

Passiamo a Dio. Il mondo è pluralità determinata, in aggregazioni diverse, come s’è visto, e quindi in movimento, che importa passaggio da uno stato all’altro, e coincide col tempo. Ora tempo significa prima o poi, successione di rapporti, che devono rimontare a un primo rapporto. Perché se non ci fosse il primo, non ci sarebbe il secondo, il terzo, mancherebbe la successione; e il tempo si confonderebbe con l’enternità, dove non c’è distinzione di momenti, e il luogo del numero si ha l’uno. Il tempo è finito e numerabile, e però ha principio e fine. Quindi il moto, che è lo stesso tempo, non è eterno. Né può essere eterna la materia, la quale, una volta posta, non può non muoversi, essendo quella pluralità aggregata che s’è detta. Si dirà che la materia, non non eterna in quanto pluralità, è eterna nella sua radicale unità, donde sgorgherebbe la pluralità? Ma questo contrasta all’identità della sostanza. L’uno non può essere mai che l’uno; e il molto non può derivare da esso. Dunque? Il molto è un fatto, e poiché non è eterno, ha dovuto cominciare; cominciare significa esser preceduto da altro; il mondo, dunque, è stato preceduto da altro, che non è cominciato, ma è eterno; e che non può esser molto, ché altrimenti sarebbe cominciato anch'esso. Il molto, anche pel Corleo, come pel D'Acquisto e tutti i leibnziani della scuola monrealese, instaurata dal Miceli, il molto finito, perché numerabile, e temporale, è preceduto dall'Uno eterno, che lo fa essere, senza farlo partecipare in modo veruno del proprio essere, perché la partecipazione importerebbe un cangiamento impossibile nella sostanzialità dell’Uno; e insomma, lo crea dal nulla. Ecco il creatore, ecco Dio.

Anche qui io non voglio cercare i sofismi che viziano l'argomento del Corleo: mi limito solamente a notare che la filosofia dell'identità, coi suo matematicismo, in questo problema fallisce: non per colpa sua, beninteso, ma di quella realtà, che veramente, fatti bene i conti, non è identica a sé stessa né nel tutto, ne nelle sue parti singole, le quali poi solo a tal patto sarebbero numerabili11. Se i molti fossero nient'altro che molti, e l'Uno nient'altro che uno, se le sostanze tutte non fossero se non unità, come potenze attuate, reali semplici, i molti essendo il numero x, i molti e. l'Uno sarebbero x + I: ossia non mondo e Dio, ma un numero, il mondo solo. Perché il mondo sia altro da Dio, l'Unità di questo e la molteplicità di quello non devono essere sommabili: non devono essere quantità, ma qualità. Cioè non basta che l'Uno non sia molti, ma ciascuno dei molti non dev'essere molti: ossia moltiplicabile o sommabile; ciascuna monade mondana non dev'essere un'unità indifferente qualitativamente, ma un’unità di una certa qualità: di quella qualità di cui ci ha molte monadi. La posizione, insomma, privilegiata di Dio rispetto al mondo, di quest'Uno che non è unita matematica, reagiste sugli uni materiali e spirituali del mondo, qualificandoli per differenziarsene: e col qualificarli, li sottrae alla mera definizione quantitativa e li fa quindi sfuggire alle prese della filosofia dell'identità.

O mondo matematico senza Dio. O Dio senza matematica, né in sé ne fuor di sé. Incipis numerare, incipis errare.

Giovanni Gentile

 

  1. Sist.,§ 76.
  2. Sist.,§ 77.
  3. Ivi, §§ 78-79.
  4. Sist., § 88 , p. 54 n.
  5. B. D’Acquisto, Della scienza univ., Palermo, Lao, 1850, §§ 512, 30.
  6. Sist., § 100.
  7. Sist., §§ 256, 257, 261. Cfr§ 114.
  8. Ivi, § 90.
  9. Sist., § 149.
  10. Cfr. il cap. VIII dell’antropologia nella univ., II 291 sgg.
  11. Vedi univ., §§ 230-236; Sistema, §§ 127-128, 229-233.