Amato

II

E in primo luogo è da notare che Simone Corleo, di fatto, prese le mosse dallo studio di problemi particolari di fisica e di fisiologia. Le sue Ricerche su la vera natura déi creduti fluidi imponderabili erano bensì pubblicate dall'autore ventinovenne come «lavoro destinato a spianar la strada ad altro lavoro assai più esteso e più rilevante, la Filosofia universale... tempo avanti promessa, ma per fatali ostacoli non condotta ancora a compimento»1; ma, anzi che presupporre realmente questa filosofia universale, sono evidentemente la stessa prima forma di essa filosofia, quale sorse nella mente del Corleo nel tentativo di approfondire i concetti empirici di calore, luce ed elettro-magnetismo, combattendo la mitologìa è vecchi fluidi imponderabili: onde si rompeva con una serie di casi eccezionali la legge newtonìana della gravitazione universale, ammettendo corpi assolutamente o relativamente non gravi. Il Corleo si sforza di chiarire come tutti i fenomeni, che si ritenevano effetto di questi presunti fluidi, non importino realmente nulla di estraneo alla meccanica dei corpi ponderabili cui ineriscono, e si risolvono tutti in stati di questi corpi: onde il calorico non sarebbe più un agente che dilata i corpi, ma la stessa dilatazione dei corpi, immanente in tutti i corpi, proveniente dalla continua variazione dello stato di aggregazione delle loro molecole, a causa dello squilibrio e del moto incessante dei varii corpi, contigui tutti, dell'universo. La luce, anch'essa, uno stato degli stessi corpi ponderabili; ossia il particolare stato vibratorio delle stesse molecole di cotestì corpi. E uno stato particolare delle molecole dei corpi ponderabili anche l'elettricìtá, derivante dal loro disequilibrio molecolare. Non occorre qui entrare nella serie delle, osservazioni onde egli confuta la pretesa azione degl'imponderabili, e spiega i fenomeni termici, luminosi ed elettrici con la meccanica dei ponderabili. Giova piuttosto accennare in breve i fondamenti di questa meccanica, che sono l’intuizione generale, che il Corleo ha di tutti i menzionati fenomeni fisici.

La materia, egli dice, consta di elementi indivisibili, perché altrimenti non vi sarebbero corpi più grandi e corpi meno grandi, tutti essendo divisibili all’infinito, ossia tutti egualmente divisibili, in quanto un infinito a sua volta non potrebbe essere maggiore o minore di un altro. Questi elementi non sono atomi inerti, veicolo di movimento, ma atti (monodinamie): «forze esse stesse attuate» che, «riunendosi, produrrebbero un'azione totale, equivalente alla somma totale dei loro numeri e della loro disposizione». Monadi, insomma, come quelle di Leibniz, centri di attività: ma forze attuate, che, a differenza delle monadi leibniziane, son tutte attuate: ossia ciascuna è attuata si da non essere, né per forza propria, ne per forza altrui, suscettibile di altra ulteriore attuazione: scevra d'ogni possibilità di svolgimento: «ognora la stessa determinata invariabile azione». La monade leíbnìzíana è un continuo cangiamento, é l'azione d'un principio interno che passa per appetizione da una percezione all'altra. La monodinamia del Corleo è identità assoluta con sé stessa, negazione d'ogni cangiamento. Che sia l'atto senza cangiamento della monodinamia ora non indaghiamo. Anche il pensiero, che muove essendo immobile, è per Aristotìle un atto. Ma il carattere differenziale che distingue più profondamente la monodinamia dalla monade leibniziana, e da quel reale herbartiano, a cui il principio del filosofo siciliano è stato più volte raccostato, e che giova a significarne più precisamente il valore, è la sua relatività, laddove ogni cangiamento della monade è per Leìbniz interno alla monade stessa, che non ha finestre, per cui qualcosa possa entrarvi o uscirne, e ogni attività del reale si esaurisce per Herbart nell'autoconservazione del reale, che è anch'esso un tutto chiuso ed essenzialmente irrelativo. «L' idea di azione», dice invece il Corleo (e azione è per lui, la stessa entità elementare), «accenna da se stessa la necessità di una relazione ad altri, la necessità di un contatto»; essa «non può avere per limite il pretto nulla» e va quindi concepita «come dentro una sfera di contatti di altre azioni sostanziali, che l'abbracciano e la serrano da ogni dove». L’azione della monade pel Corleo non è a sé, ma ad altro: e la monade non è, come avrebbe detto Herbart, una posizione assoluta, non e sé stessa, ma è sé stessa ed altro, e il suo essere trascende la sua sfera particolare per adeguarsi a tutta la sfera di contatti, al sistema ìnsomma di cui fa parte. Non occorre avvertire che questa monade non è l'atomo, il quale presuppone lo spazio vuoto, che il Corleo rifiuta; ma non occorre neppure avvertire che una monade la quale non è per sé, ma è parte di un sistema, non è più monade, non è più nulla di sostanziale. Ma, benché il Corleo ci parli anche in questa introduzione alle Ricerche sugl’imponderabili di concetti metafisici, è giusto interpetrare le idee che vi propone alla stregua della speculazione pura? A lui importa qui di costruire un sistema fisico, in cui la stessa aggregazione delle parti materiali, secondo una ipotesi unica, renda ragione di tutti i fenomeni fisici, senza bisogno di postular nulla che trascenda lo stesso sistema fisico. Questo bisogno soggettivo di non uscire dal campo empirico si manifesta fin dal principio nella ragione addotta per la negazione della divisibilità infinita della materia (e quindi per la posizione del numero finito degl'indivisibili). Le contrarie supposizioni dei geometri, egli dice, sono ineffettuabili in quanto urtano nella impossibilità di spiegare la differente grandezza dei corpi: che sono differenti perché - è chiaro - sono empiricamente differenti. E l'esperienza qui che costruisce i suoi presupposti, come accade sempre nella costruzione propriamente scientifica; non è un principio a priori che costruisca deduttivamente l'esperienza. Inoltre: la posizione del numero finito degli elementi costitutivi del corpo empirico non si giustifica se non in quanto gli elementi siano della stessa natura del tutto, unità, cioè, della stessa specie di quelle che compongono il tutto. Ma questa identità non è concepibile se non a patto che le unità siano nello stesso piano del tutto, e se questo è oggetto di esperienza, quelle devono essere almeno oggetto dell’esperienza, che Kant dice possibile. Se il corpo è esteso, le unità saranno estese, materiali. Dal punto di vista metafisico, Leibniz aveva chiarito che unità estese, materiali non sono unità, ma molteplicità, aggregati esse stesse di altre unità. Ma le entità supposte, così come le suppone, servivano al Corleo per condurre una polemica analoga a quella già fatta dal Leibniz nell’Hypothesis physica nova dal punto di vista del meccanismo, contro il concetto fisico dei fluidi imponderabili, dell’azione a distanza e di ogni eccezione al sistema del più matematico atomismo. E, obbedendo allo stesso bisogno spirituale, egli scrisse quattro anni più tardi un altro libro di sistemazione empirico-naturalistica: Ricerche su la natura della innervazione con applicazioni fisiologiche, patologiche e terapeutiche2; dove egli (che era medico) combatte l'altra entità scolastica del fluido nervoso, per ridurre l'attività nervosa, anch'essa, a uno stato dell'organismo, e propriamente a lo stato di mutuo disequilibrio delle molecole, che compongono l'organismo animale, raccolto in ispecialità sulla massa encefalica e sui nervi. È anche qui il desiderio di spiegare col puro meccanismo della materia le funzioni fisiologiche del sistema nervoso, che impone, com'è naturale, all'autore il concetto di una realtà materiale composta di un numero determinato di parti indivisibili, ciascuna delle quali non può essere se non se stessa, e la cui varia aggregazione deve render ragione dei fenomeni dell'esperienza. Che è il concetto del più rigoroso meccanismo, il quale risolve tutte le qualità né rapporti meramente quantitativi.

Fin da quando il suo pensiero si travagliava sui problemi particolari, e si sforzava di risolverli con la guida di cotesto concetto meccanistico del reale, egli intanto doveva, dalla posizione assunta di una concezione unitaria del mondo empirico, essere indotto naturalmente ad attribuire un valore metafisico allo schema in cui si veniva adagiando il suo pensiero. E già annunziava la Filosofia universale, pubblicata pochi anni dopo, come la dottrina immanente a quelle sue speciali ricerche. Questo scambio dello schema utile alla costruzione scientifica della natura con una logica dell'essere, ossia con una metafisica, o filosofia che si voglia dire, è non solo frequente nei naturalisti, ma necessario. Perché dal punto di vista naturalistico tutta la realtà é la natura stessa naturalisticamente considerata; e la scienza della realtà, di ogni realtà, quale è per lo spirito, non può essere che una, e assoluta per lo spirito per cui la realtà stessa è. La concezione meccanica, fisica e fisiologica, del Corleo nei Fluidi imponderabili e nel l’Innervazione fu per lui la sola, la vera metafisica del reale; e si accinse a presentarla come tale, di contro a tutte le filosofie antiche e moderne, nella sua Filosofia universale; dove in realtà egli procura di stringere nel suo pensiero non soltanto la realtà del fisico e del fisiologo, ma tutta la realtà, compresa quella additatagli da tante altre filosofie, e dal contenuto della sua fede cristiana.

  1. Ricerche, Palermo, Lo Bianco, 1852; Introd., p. 3. Prima di queste Ricerche nel 1844 il C. pubblicò certe Meditazioni filosofiche, che non mi è riuscito di trovare in nessuna biblioteca, e che non sono mai ricordate, che io abbia visto, dall’autore nelle sue opere posteriori: dove non manca mai di citare i lavori precedenti, in cui avesse enunciate già le stesse idee. Il Di Giovanni nella Bibliografia aggiunta alla sua Storia (II, 580) le cita come vol. I di una collezione di Opere del Corleo, rimasto incompleto, recante il sottotitolo «Filosofia»; e avverte: «Sono pensieri diversi, cui egli da titolo di Meditazioni sopra filosofici argomenti».
  2. Palermo, Lo Bianco, 1857, pp. 571-XXI.