Amato

I

Prima di venire alla conchiusione di questo qualsiasi disegno storico del positivismo italiano nella seconda metà del secolo XIX, e di studiarne gli ultimi rappresentanti, in cui esso s’è quasi corrotto, ed è morto, apro una parentesi per ricordare l'unico filosofo che in questo periodo ebbe la cultura siciliana; un filosofo rimasto sempre, quasi albero piantato nel campo in cui ha le radici, chiuso col suo pensiero nello stesso àmbito della cultura isolana, non ancora fusa nella vita nazionale dello spirito italiano. Tutta la vita Simone Corleo (n. a Salemi il 2 settembre 1823, morto il I° marzo 1891 professore di Filosofia morale nell'Università di Palermo) desiderò ed attese un adeguato riconoscimento dell'originalità, del valore dei suo pensiero: ripetendo sempre (e non aveva torto) che nessuno aveva letto tutta un'opera sua, o almeno nessuno inteso, nel loro complesso, le sue dottrine. E ricostruendo nel 1879 in una forma più agevole e piana il sistema della sua filosofia, da vent'anni già esposto in due grossi e fitti volumi di più che mille e dugento pagine complessive, annunziava intanto il proposito «di richiamarvi meglio l'attenzione de più valorosi intelletti con preparare a suo tempo, sull'asse suo, alcuno di quei mezzi che sogliono incoraggiare agli studii più difficili e meno retribuiti»1. Proposito, che infatti mantenne nel suo testamento, istituendo un assai cospicuo premio per gli studi intorno alla sua filosofia, a fine di promuovere artificialmente quell’interesse, che non era mai sorto naturalmente2. Non era sorto, perché non poteva sorgere; non per quella generale cagione, onde il Corleo procurava da se stesso di consolarsi: che cioè «nelle scienze filosofiche, ciò che comunemente o almen da molti si loda, corrisponde al volgare modo di pensare, o per lo meno al pensare dei proseliti di una scuola venuta in moda»: cagione che è vera, solo per metà, giacché essa moda si crea appunto, non da ciò che comunemente è lodato, ma dal vigore possente d’ogni nuova concezione originale; non poteva sorgere, perché la filosofia del Corleo s’era formata in un ambiente di pensiero estraneo alle grandi correnti contemporanee; in quell’ambiente chiuso, quale rimase sempre la cultura siciliana fino al 1848 (quando qui si sorse per la prima volta l’idea della unità italiana): chiuso anche al soffio turbinoso e ricreatore della grande Rivoluzione; chiuso quindi e in ritardo verso il rinnovamento spirituale della penisola nella prima metà dell’800. Ambiente, che sarà studiato in altra serie d’articoli, ma che si può facilmente riconoscerne e quasi sentire in quel che d’esotico, che a chi non abbia familiarità con gli studi filosofici siciliani d’innanzi al 1860 desta un così vivo senso di strano, e stavo per dire di repellente, nelle opere, nelle opere di Simone Corleo, specialmente nelle prime. Esotica la lingua, con tutta la forma letteraria, diversa da quella degli scrittori italiani del continente contemporanei, non pure nei costrutti non sempre conformi alle norme più generalmente seguite, ma nella stessa materia della lingua e nella frase, tra barbara e preziosa, e nell’atteggiamento stilistico d’un classicismo di scuola, in cui l’abbondanza ciceroniana e cinquecentesca s’alterna e si mescola alla magrezza stringata di Tacito e dell’Alfieri3. Esotico tutto l’atteggiamento storico; per cui la storia si trasfigura in funzione della cultura speciale palermitana, secondo interessi intellettuali e tradizioni paesane. Esotica la posizione dei problemi, derivanti da una storia siciliana della filosofia; e la stessa situazione mentale rispetto alla realtà, verso la quale il pensiero contemporaneo è orientato: situazione, ancora all’albeggiare del '6o, da abati del sec. XVIII, per cui la filosofia era la fisica e la matematica - i dommi cristiani; e la storia, l'uomo, non era. Se la Sicilia fosse rimasta la Sicilia, Simone Corleo, quando nel 1860 e 63 diè in luce la sua Filosofia universale, che doveva cacciar di nido il Sistema di scienza universale, pubblicato nel 1850 dal monrealese p. Benedetto d'Acquisto (1790-1867; predecessore del Corleo nella cattedra dell'università palermitana), che alle tradizioni d'una scuola locale aveva congiunto alcune novità giobertìane4, egli avrebbe certo raccolto tutto il plauso de' suoi connazionali; com'ebbe sempre a Palermo una cerchia di scolari devoti e di entusiasti ammiratori, che non lasciano tuttavia spegnere l'eco della sua voce. Ma già allora la Sicilia cominciava a diventare l'Italia; l'Italia tutta impregnata dello spirito nuovo del romanticismo, integratore e correttore dello spirito della Rivoluzione; l'Italia, che, ripigliando il suo posto tra le nazioni d'Europa, si affrettava per rimettersi anche al passo con i progressi universali della cultura. E in questa Italia, che fin d'allora assunse nel circolo della sua vita nuova la Sicilia, il Corleo, che nel 1860 si presentava con un'opera già da diciotto anni meditata e promessa5, parlò come vox clamans in deserto. Nessuno l'ascoltò, nessuno6 gli rispose. Fu, come si dice, uno spostato.

E se ora levasse il capo e vedesse questo saggio, non dubiterebbe, certo, un solo istante dell'opportunità di essere studiato quasi a parte e in un intermezzo alla storia della filosofia contemporanea: ma non meno certamente si riterrebbe spostato in un intermezzo alla rassegna dei positivisti. Poiché positivista egli non credette mai di essere, quando venne in auge In Italia il positivismo, e gli parve di dover farei conti con esso7. Il positivismo - quello almeno dei positivisti, poiché un positivismo a modo proprio non c'è chi non lo voglia - egli lo combatté in tutte le sue affermazioni più caratteristiche. E nessuno, che io sappia, ha creduto finora di poterlo raccostare a' positivisti. Egli, contro i positivisti, professò di essere metafisico; e affermò l'eterogeneità e l'autonomia dello spirito; e la finitezza del mondo; e Dio; e la creazione: tutta la sostanza della metafisica cristiana, che i positivisti rimandavano ai musei preistorici; e contro i positivisti difese sempre i diritti della filosofia come scienza diversa dalle scienze particolari, e legislatrice per tutte.

Ma la filosofia d'un filosofo, si sa, non è quella stessa per l'appunto, che vuol costruire esso il filosofo: ma soltanto quella che il pensiero fondamentale, l’ispirazione prima del suo filosofare gli lascia e quasi gli fa costruire. Non basta che il filosofo sia di fatto, cioè voglia essere, meccanista e finalista, materialista e spiritualista, perché gli si riconosca in linea di diritto che egli è una cosa e l’altra, poiché l'una cosa esclude l'altra; e lo storico della filosofia deve distinguere trai due principii repugnantì quello che è veramente originario, e solo può dirsi perciò il vero principio del filosofo. Che se, oltre il principio da cui egli prende le mosse, sente pure il bisogno e la forza d'un principio opposto, questa duplicità d'interesse, questo antagonismo interiore è allo storico dimostrazione prammatica dell'insufficienza logica e storica del principio fondamentale. Che è il caso del Corleo; positivista in tempo di positivisti ma con tutto un bagaglio addosso di vecchia metafisica, che gli impediva d'entrare nel gran carrozzone, su cui quei signori si caricavano e viaggiavano beati: ma il suo bagaglio, se accenna a certa ingenuità da spostato, se non gli procurò fortuna tra i positivisti, se non gliela fece né anche cercare in quel campo, se gli dié una particolare fisonomia storica, non significa a chi guardi alla logica interna del suo pensiero se non il difetto e quasi il fallimento del suo stesso positivismo. Onde l'intermezzo siculo assume l'importanza d'una critica ab intrinseco del positivismo italiano, dovuta a un filosofo che per altre vie, per altri porti giungeva a cotesta filosofia largamente diffusa nel tempo suo.

 

  1. al. vol. Il sistema della filos. Universale, ovvero la filos. della identità, Roma, 1879, p. 6.
  2. Malgrado l’insistenza, onde egli tentò sempre attirare suoi libri l’attenzione dei più illustri scrittori del tempo, e provocarli a pubblica discussione. Vedi le lettere raccolte nell’Appendice a questo saggio.
  3. Chi voglia rendersi conto dell’educazione letteraria del Corleo, deve leggere il suo volume Tragedie seguite da discorsi politici e letterarii, 2aed, Palermo, 1869: contenente quattro tragedie (Vespro siciliano, Eufemio, Silano, Tiberio Gracco) e due discorsi: Sui Gracchi, sul Comunismo e sul limite massimo della proprietà; e Sulla tragedia italiana.
  4. Sul D’Acquisto, dal 1844 al ’58 professore nella Università di Palermo, poi arcivescovo di Monreale, v. Di Giovanni, B. D’A. e la filos. della creaz. in Sicilia, Firenze, 1867, e St. d. filos. in Sicilia, Palermo, 1873, II, 213-289.
  5. univ., vol. I. Intr.
  6. Nessuno, s’intende, che mostrasse di consentire. Della Filosofia universale si occuparono Luigi Ferri, Ital. Ed Effem. Della P.I., Torino, 2 dicembre 1861, n. 63; A. Conti, ivi, 15 settembre 1862, n. 104; B. Poli, ivi, 7 aprile 1862, n. 81; G.Allievo, ivi, 13 febbraio 1865, n. 229 (scritto rist. nei Saggi filosofici, Milano, 1866, pp. 324-334); F. Bonatelli, Riv. cit., 24 aprile, n. 187, e nell’art. Die Philos. in Italien seit 1815 nella Zeitscr. f. Philos. u. philos. Krit. N. F., Bd LIV N. F., (1869), pp. 134-58; A. Franchi, Teorica Del giudizio, 1870, lett. XI; F. Fiorentino, La filos. contemp., p.60. Nella rivista La filosofia, rassegna siciliana che il Corleo fondò nel 1890, ma di cui non riuscì a pubblicare più di due fascicoli, nell’anno II (dopo il quale cessò) dir. da R. Benzoni, contiene vari scritti commemorativi intorno al Corleo nei cenni necrologici e biografici. Il Benzoni vi studia il Car. Della filos. di S. C.; il medico A. Marcacci, Le opere medico-fisiche di S.C. ed il suo sist. di filos. univ.; E. Orestano, L’identità in Bain e in Corleo. Un cenno bio-bibliografico del C. scrisse F. Orestano nella miscellanea di scritti in onore di M. Heinze, Berlin, Mittler u. Sohn, 1906, pp.201-206.
  7. Vedi specialmente il suo scritto Le differenze tra la filos. dell’identità e l’odierno positivismo, nella Riv. Di filos. scient. Del febbraio 1887.